Il dibattito sulla potenziale nascita di centro di accoglienza per migranti all’interno dell’Hotel Regina di Campotenese sta animando il territorio. Gran parte dei soggetti istituzionali e del mondo dell’imprenditoria ricettiva ed esperienziale, hanno già manifestato la preoccupazione per questo progetto che snaturerebbe la vocazione agricolo turistica della contrada montana moranese. Ma non tutti credono che la nascita di un Cas sia una minaccia per il territorio ed in queste ore hanno espresso posizioni favorevoli rispetto alla ipotesi che la candidatura diventi realtà.
I primi a prendere posizione in merito sono stati i Socialisti di Mormanno che hanno definito la potenziale apertura del centro di accoglienza stradordinaria come «una possibilità concreta di crescita per tutti. Accogliere significa prima di tutto riconoscere la dignità di ogni persona e rispondere con umanità a chi arriva da situazioni difficili. È un segno di solidarietà, ma anche un investimento nel futuro della nostra comunità. Un centro ben organizzato – hanno aggiunto in una nota stampa – può diventare molto più di un luogo di ospitalità: può trasformarsi in uno spazio di incontro, di formazione, di partecipazione». Secondo i Socialisti un progetto simile «può generare nuove opportunità per il territorio: posti di lavoro, collaborazione con imprese locali, sviluppo di servizi e attività culturali. In un’area che lotta contro lo spopolamento, accogliere persone che vogliono contribuire alla vita della comunità può diventare un modo per ridare energia e prospettiva al paese». Per far questo, però, bisogna avere «un piano chiaro e condiviso: la partecipazione degli abitanti, il coinvolgimento delle associazioni, strutture e servizi adeguati, e una gestione trasparente che permetta di monitorare i risultati». Per la compagine socialista, insomma, Campotenese potrebbe «diventare un esempio positivo: un luogo che accoglie con intelligenza, che trasforma la solidarietà in opportunità, e che guarda al futuro con fiducia. L’accoglienza, se fatta bene, non divide: unisce, rafforza e dà nuova vita alla comunità».
Dibattito sano a cui servono equilibrio e verità
Il tema della nascita di un Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) a Campotenese, nel cuore del Pollino, ha suscitato anche l’intervento di Pino Le Fosse della Direzione provinciale del Partito Democratico. «È positivo che se ne discuta, ma servono equilibrio e verità. L’accoglienza va fatta bene e con regole chiare. Per questo serve rafforzare il Sistema SAI, quello pubblico dei Comuni e dell’ANCI, fondato su integrazione e partecipazione, e superare la logica dei CAS, i centri straordinari gestiti dalle Prefetture e spesso imposti ai territori, come nel caso di Campotenese. L’accoglienza non può restare materia d’emergenza: deve diventare una politica sociale stabile, di competenza del Ministero del Welfare e delle comunità locali».
Per il rappresentante dei democrat la vicenda di Campotenese è «esempio evidente» della «gestione confusa e priva di visione» del Governo Meloni dopo il «progetto fallimentare e disumano» di voler esportare l’accoglienza in Albania, scaricandola ora «sui territori interni del Paese». Secondo Le Fosse le argomentazioni del sindaco di Morano Calabro, Mario Donadio, o del consigliere Biagio Angelo Severino, diffuse in questi giorni che hanno «contrapposto all’accoglienza il turismo sostenibile e l’agroalimentare di qualità» e definito Campotenese «non idonea a ospitare un centro del genere» sono «argomentazioni che, al di là delle intenzioni, rischiano di rappresentare un arretramento culturale: si continua a immaginare l’accoglienza come un ostacolo e non come una risorsa».
«Il punto è un altro: l’accoglienza, se ben gestita, rafforza le comunità, non le indebolisce. Le aree interne della Calabria, dal Pollino alla Sila, non si spopolano per troppa accoglienza: si spopolano per mancanza di persone, di opportunità, di un’idea di futuro e, forse, anche di coraggio. I borghi del Pollino – da Morano a Civita, da Frascineto a Mormanno – vivono oggi al limite e con affanno: di turismo stagionale, di una nicchia strettissima, di piccole produzioni agricole e di tanta fatica quotidiana. Un centro d’accoglienza ben gestito non toglierebbe nulla a queste esperienze né alle loro ambizioni più alte di futuro: porterebbe invece vita, relazioni, servizi, e potrebbe intrecciarsi con l’economia locale, con l’agricoltura sociale e con il turismo responsabile».
I modelli di integrazione
«Se c’è un modello da guardare, non è quello dell’esclusione ma dell’integrazione: Riace, Badolato, Satriano o Acquaformosa – dove l’accoglienza ha salvato scuole, creato lavoro e ridato vita a un borgo destinato allo spopolamento. La verità è che senza persone, nessuna “vocazione” resiste. E chi guida le nostre comunità dovrebbe saperlo: il futuro delle aree interne si costruisce aprendo, non chiudendo. Sta qui la sfida che la politica deve saper raccogliere: riconoscere nell’accoglienza un’occasione per guardare al futuro, per costruire sviluppo, solidarietà e nuove opportunità nei territori dimenticati».